Al corto “Dike” della regista Elena Bertacca è assegnata l’Honorable Mention dalla Giuria del festival del Cinema di Cefalù con la seguente motivazione: «per la sua originalità e per l’audace esplorazione dei temi legati al giudizio sociale e alla pressione estetica che grava sulle donne. Attraverso una narrazione surreale e simbolica, il film utilizza il nome della dea greca della giustizia per trasformare un semplice dito, l’indice della protagonista, in un potente strumento di riflessione sulla società contemporanea. “Dike” riesce a coniugare con brillantezza elementi di fantasia e critica sociale, mostrando come il dito che indica e giudica diventi una forza capace di plasmare l’identità della protagonista, costringendola a conformarsi agli standard di bellezza imposti dalla società. La rappresentazione simbolica del dito come personificazione del giudizio esterno è un’idea innovativa che dona al corto una profondità concettuale rara, affrontando questioni come il conformismo e la percezione del corpo femminile con un approccio unico. La regia e la messa in scena, caratterizzate da un’estetica surreale e suggestiva, amplificano il senso di oppressione che la protagonista vive, riuscendo a trasmettere allo spettatore il peso di un giudizio costante e soffocante. L’interpretazione della protagonista è straordinaria, in grado di esprimere con intensità la tensione interiore e il conflitto tra desiderio di libertà e le aspettative esterne. La Giuria riconosce in “Dike” un’opera che, attraverso un racconto surreale e al tempo stesso profondamente radicato nella realtà, riesce a trattare temi universali con grande sensibilità artistica e intellettuale. Un corto che stimola la riflessione e che, con la sua originalità e coraggio, lascia un segno profondo nello spettatore».
Elena Bertacca. Sono nata il 15 marzo 2000 e ho sempre vissuto a Viareggio, una città che sento profondamente mia e che mi ha ispirata fin da bambina. Ho sempre avuto una predilezione per l’arte, ricordo che da molto piccola iniziai a fare amicizia con la fotografia, divertendomi ad andare in giro a scattare foto a qualsiasi cosa catturasse la mia attenzione. Poi, grazie al mio nonno paterno, anche lui con una forte inclinazione artistica, che per primo mi ha insegnato a tenere una matita in mano, ho iniziato sempre più a mettermi alla prova in diverse espressioni artistiche. Amando la natura, la vita all’aperto, l’esperienza condivisa e l’impegno sociale, ho fatto parte per dodici anni del gruppo scout della mia città. Ora sono un membro dell’associazione “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” e mi impegno nel volontariato presso il canile comunale di Viareggio. Ho conseguito il diploma di liceo linguistico nel 2019, sono tornata sui miei passi e alle mie passioni, conseguendo la laurea triennale in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, che mi piace definire come la mia seconda casa. Sempre in questa scuola, sto terminando la magistrale in “Cinema, Fotografia e Audiovisivo”, per poter arricchire il mio bagaglio artistico. Sono una persona poliedrica, iperattiva e curiosa: amo cimentarmi in qualsiasi progetto, dal cinema alla scultura, passando per la scenografia. Eccco come ha risposto la regista alle nostre domande:
Perché ha deciso di girare questo Film? Ho scelto di realizzare questo film perché, mentre cercavo ispirazione per un nuovo progetto, questa storia è emersa dentro di me in modo completamente inaspettato e spontaneo. Quasi senza accorgermene, ho iniziato a svilupparla. Le parole e le immagini si sono materializzate con una naturalezza sorprendente, come se la storia di “Dike” facesse già parte di me e aspettasse solo di essere raccontata. I temi che affronto nel cortometraggio sono sempre stati importanti per me, anche se non li avevo mai davvero approfonditi; lavorare a questo film è stato, in qualche modo, una forma di autoterapia. Nella vita ho sempre cercato di affrontare le difficoltà con un pizzico di leggerezza e ironia, così ho voluto trasferire lo stesso approccio anche a questa storia. A volte, le difficoltà, osservate da una prospettiva più leggera, diventano davvero più gestibili. Ho sperato che “Dike”, come ha avuto un effetto terapeutico su di me, potesse fare lo stesso per qualcun altro. Un insegnamento che ho sempre portato con me, trasmessomi dal professore che mi ha seguito in questo progetto, è che le storie capaci di emozionare il pubblico sono quelle che nascono dal profondo di noi stessi. Ho sentito che questa fosse una di quelle, così ho deciso di darle vita.
Su quale tema vuole richiamare di più l’attenzione di chi lo guarda? Il tema su cui vorrei richiamare l’attenzione è la pressione sociale e quindi il giudizio sociale, che tutti, in particolare le donne, affrontiamo quotidianamente, spesso senza nemmeno rendercene conto. Siamo diventati vittime inconsapevoli di una ‘società della performance’, dove sembra che il nostro valore dipenda dall’apparire impeccabili: sempre in forma, con abiti alla moda e una cura del corpo precisa e attenta; siamo costantemente sollecitati a mostrare una vita perfetta, senza tristezze o difficoltà, circondati da persone e successi. Chi non riesce a proiettare quest’immagine di se stesso rischia di sentirsi escluso e giudicato inadeguato. Questo ci porta a costruire una realtà artificiale, superficiale, che nasconde però una profonda tristezza e una mancanza di autenticità. Non intendo condannare questa società della performance, né chi ne fa parte, perché è difficile sottrarsi a queste pressioni. Vorrei, però, incoraggiare gli spettatori, in particolare le spettatrici, a riflettere su quanto sia importante accettarsi al di là delle apparenze e degli standard imposti. La vera felicità non deriva dal conformarsi a modelli esterni, ma dal trovare bellezza e valore nelle proprie imperfezioni e nell’autenticità della propria vita.
Che messaggio intende lanciare con questo film al mondo del cinema? Con “Dike”, intendo lanciare un messaggio di libertà e al contempo di consapevolezza. Vorrei invitare il mondo del cinema a riflettere su quanto sia influenzabile la società e su quanto, quindi, una storia possa fare la differenza in un mondo in cui è sempre più difficile emergere in modo autentico. Spero che il film incoraggi gli spettatori a riflettere su come viviamo in una ‘vetrina’ e su quanto sia importante accettarsi e accettare gli altri andando oltre le apparenze. La vera bellezza e la vera libertà si trovano nell’essere autentici.